IL SÉ TRA CORPO E NATURA
L’artista raggiunge un luogo prescelto: una roccia, un prato, una cascata o altro, si posiziona e poi
fa scattare la macchina fotografica, luoghi che solitamente sono impervi e isolati, molto distanti dagli
spazi antropizzati.
Nel suo “mettersi a nudo” in modo certamente non appariscente, c’è un sentimento di pudore ma non
di timidezza puritana, di raccoglimento ma non di nostalgia fetale. Colognesi infatti assume le sue
posizioni in forma serena e compositivamente armoniche: in queste, le pulsioni problematiche e le
sue tensioni – interne (inconsce e consapevoli) ed esterne (un animale che si avvicina, la percezione
di un pericolo, un accidente atmosferico) – trovano un attimo di “sosta”, di “serenità” di “sospensione”,
proprio, ed anche, nell’operazione estetica.
La (con)fusione con la natura – accanto o sulla quale si pone con severo, ma tranquillo, rispetto –
è il messaggio più intenso che possiamo cogliere nelle sue fotografie: c’è una sorta di simbiosi
tra il suo sé (il suo corpo) e la natura. Potremmo dire che sul piano del pensiero riflessivo
abbiamo una rilettura della filosofia della “Natura naturans/Natura naturata” cioè della Natura
che crea e che è creata, così il “corpo”, la “persona” è tanto natura creata quanto essere naturale
che crea; mentre sul piano emozionale abbiamo una grande liricità che proviene dalle forme dell’artista
immerse nello spazio della natura. E qui è da dire che l’osservatore delle opere di Colognesi resta nel
dubbio se sia la sua figura a dare senso alla natura o se sia questa a dare significato al corpo nella
sua nudità naturale, con tutte le sue caratteristiche plastiche e luminose. Anche noi lasciamo sospesa
la questione, se non altro per rispetto dell’arte che non dà mai soluzioni bensì pone – o dovrebbe
porre, quando è arte vera – i problemi, i quali dall’aspetto formale poi slittano su quelli
contenutistici, cioè intellettuali ed emotivi. Certamente le immagini della Nostra possono
collocarsi in quei territori artistici che definiamo “lirici”, dato l’alto tasso di poeticità e
di sensibilità che riscontriamo nei suoi lavori.
Ed ancora: come la Natura è imprevedibile nel suo essere e nelle sue manifestazioni, così l’opera
che risulta dall’autoscatto ha anch’essa dell’imprevedibile e della casualità. Infatti quando si
fotografa una realtà altra che sta davanti a colui che fotografa, costui, se la camera è analogica,
vede nel mirino, mentre, se è digitale, guarda nel display l’immagine che poi risulterà nella stampa;
invece con l’autoscatto l’artista può solo “immaginare” ma non “vedere” cosa risulterà dopo lo scatto,
poiché c’è un lasso di tempo e /o dei movimenti tra la preparazione e la realizzazione, ed è proprio
questo che provoca quel senso di indeterminatezza che ci pare accresca il fascino dell’autoscatto.
GIORGIO BONOMI, MILANO 1 DICEMBRE 2013
SELF PORTRAITS
Perché l’autoritratto? Narcisismo? Desiderio di conoscersi? Nel mio caso è il desiderio di stabilire un
legame tra me e la Natura, di confondere il mio corpo con l’acqua, la terra, la roccia, gli alberi, di
trovare un luogo solitario, lontano dalle false necessità indotte dalla società contemporanea.
Necessità di riappropriarmi di me stessa, del mio tempo, della capacità di sentire quello che la parte
più superficiale del mio corpo, la pelle, a contatto con gli elementi trasmette ai miei sensi e di
come questi sanno tradurre tutto non in una posa fotografica passiva all’interno di un paesaggio
meramente scenografico, ma in una reazione istintiva a stimoli esterni, un vero e proprio scambio.